venerdì 30 novembre 2018

I più bei film noir [3]

Genesi e storia dell’opera a fumetti e dell’ottimo film che ha ispirato…

Sin City, dalla carta alla pellicola


Abbandonati gli eroi in calzamaglia Frank Miller, agli inizi degli anni novanta e più precisamente nel 1991, realizza la sua opera stilisticamente più matura e innovativa, "Sin City".
La miniserie è originariamente pubblicata, divisa in 13 parti, su "Dark Horse Present", la rivista contenitore edita dalla casa editrice Dark Horse che all’epoca era la terza potenza del mercato dei comics dopo Marvel e Dc.
La peculiarità di questo lavoro come tutte quelli che lo seguiranno, è il fatto di essere disegnata in un bianco e nero senza grigi e mezzi toni come se l’autore volesse suggerirci, anche graficamente, che nel contesto in cui è ambientata la vicenda, Sin City che in inglese significa città del peccato, abbreviazione di Basin City, non ci può essere nessuna sfumatura.
Il protagonista della vicenda della prima miniserie è Marv un tipo poco raccomandabile che è appena uscito di galera.
In un locale notturno incontra una bellissima donna, Goldie, una prostituta d’alto bordo.
I due passano la notte a fare l’amore ma il mattino seguente Marv la ritrova morta proprio accanto a lui.
Marv decide così di scoprire il colpevole di questo delitto e la sua caccia all’uomo lo porterà a scandagliare in lungo e in largo la città del peccato.
Il successo di questo graphic novel è immediato e per certi versi inaspettato, tanto che viene subito ristampato in volume.
Miller infatti ha sempre realizzato opere supereroistiche anche se di livello sopraffino, basti pensare al suo insuperato ciclo di Devil o al suo capolavoro "Il ritorno del cavaliere oscuro", e il tipo di pubblico a cui si rivolge Sin City non è certo quello dei teen agers.
Qualche anno dopo Miller pubblica un altra miniserie dal titolo: "A dame to kill for" sempre ambientata nella città del peccato, per poi continuare, con cadenza praticamente annuale, a proporre nuovi cicli di storie.
La cosa più interessante dell’opera è sicuramente la rivoluzione grafica operata dall’autore.
Abbandonati i colori, affidati alla sua compagna Lynn Varley, Miller con il solo uso del pennello e del bianco e nero, realizza su carta quello che i registi del Noir hollywoodiano degli anni 30 e 40 hanno realizzato su pellicola, giocando con le luci e con le ombre.
Seguendo la lezione dell’argentino Munoz, del giapponese Otomo e del cinema espressionista tedesco, l’autore americano offre una magistrale prova di virtuosismo tecnico, creando tavole a prima vista perfino indecifrabili, almeno per chi è abituato alle rassicuranti pagine del fumetto mainstream.
Molti sono stati i tentativi di seguire la strada che "Sin City" ha aperto, dal sopravvalutato "Armored and Dangerous" di Bob Hall, vera e propria brutta copia della saga milleriana, a "Stray Bullets" di David Lapham, l’unico vero epigone delle miniserie del creatore di Elektra.
Nessuno però ha saputo riproporre quanto Miller aveva fatto, neanche lui stesso.
Miniserie dopo miniserie infatti si è ripetuto facendosi praticamente il verso da solo e scandendo spesso nei soliti cliché del genere.
"Sin City" è stata pubblicata in Italia per la prima volta a puntate sui primi sette numeri di una delle migliori testate edite dalla Star comics, la sfortunata "Hyperion", rivista chiusa dopo soli nove numeri.
Il corpo di "Sin City", che è stato stamapto in Italia da numerose case editrici tra cui: Star Comics, Play Press, Lexy e Magic Press, ha ispirato anche un pregevole lungometraggio uscito in America nell’aprile del 2005.
La pellicola, diretta e sceneggiata da Robert Rodriguez e dallo stesso Frank Miller, è basata sulla miniserie originale "Sin City" e sulle due storie successive "Sesso e sangue a Sin City" e "Quel bastardo Giallo".
A cavallo tra noir, hard boiled e gangster movie, il film riproduce fedelmente l’atmosfera, i dialoghi e le storie dei personaggi del fumetto di Miller, le cui esistenze disperate si intrecciano nella immaginaria metropoli infernale dove è estremamente facile morire ammazzati per strada e la polizia è più corrotta dei criminali, dove dominano sesso, violenza, amore, morte, sete di vendetta e desiderio di redenzione.
Storie come quelle di Marv, pronto a tutto pur di vendicare la morte di Goldie, l’unica donna che nella sua vita è riuscita a fargli provare un po’ d’amore e che è stata uccisa mentre dormiva accanto a lui, di John Hartigan, un poliziotto in procinto di andare in pensione accusato di un crimine che non ha commesso e che ha promesso di proteggere la giovane Nancy dalle grinfie di un criminale pedofilo, di Dwight, un ex-fotografo e killer alle prese con Jackie Boy, un poliziotto violento che minaccia Shellei, la cameriera di cui è innamorato, della bella prostituta Gail e di tutte le altre ragazze della Città Vecchia.
Anche il cast, di tutto rispetto, è composto da attori che in america vanno per la maggiore.
Il redivivo Mickey Rourke presta il suo volto tumefatto e dolente a Marv, il killer dal cuore d’oro.
Bruce Willis è John Hartigan, sbirro, a poche ore dalla pensione, con il pallino per le cause perse.
Elijah Wood, il Frodo Baggins della trilogia di "Il Signore degli Anelli" è Kevin, un serial killer antropofago da fare invidia al leggendario Hannibal Lecter, e Jessica Alba, la Dark Angel della serie Tv, indossa i panni succinti e ha le curve mozzafiato di Nancy Callahan, una delle tante donne perdute della città del peccato.
Ma non finisce qui: in cartellone ci sono anche Christopher Walken, Carla Gugino, Josh Hartnett e Michael Clarke Duncan.
Quello di portare al cinema "Sin City" è sempre stato un sogno di Rodriguez che ha realizzato la pellicola nella maniera più completa che si potesse pensare grazie alle tecnologie digitali.
Ha girato infatti tutto il film con attori in carne e ossa su un set fatto interamente di green screen e poi ha ricreato la città e i suoi luoghi grazie al computer.
Il regista texano ha convinto Miller, piuttosto avverso al mondo di Hollywood, a cedere i diritti del suo fumetto, realizzando a proprie spese nel più assoluto riserbo una breve preview di sei minuti interpretata da Josh Harnett e Marley Shelton che trova spazio nei titoli di testa.
Il trailer, girato all’inizio del 2004 e consegnato nelle mani del cartoonist con la promessa di interrompere immediatamente il progetto se il risultato non fosse stato di suo gradimento, ha sortito invece l’effetto sperato permettendo a Rodriguez di dare il via alla lavorazione del film.
Lo stesso regista ha insistito perché Frank Miller cofirmasse la regia del film, dando addirittura le dimissione dal Directors’ Guild of America, il sindacato dei registi americani, che si opponeva a questa iniziativa.
Non risulta invece accreditato Quentin Tarantino, che ha ricambiato il favore che l’amico fraterno Robert Rodriguez gli ha fatto per "Kill Bill: Volume 2", dirigendo, per il simbolico compenso di un dollaro, alcune scene dell’episodio che vede protagonista Clive Owen ispirato alla miniserie "Sesso e sangue a Sin City".
La sua presenza come special guest director risulta poi particolarmente significativa considerata l’avversione di Tarantino per l’uso eccessivo del digitale.
"Sin City" è un film affascinante, avvincente e convincente per la sua forma e per il suo contenuto; ma è anche una delle migliori opere che dimostrano e svelavano le nuove ed enormi potenzialità offerte dall’ibridazione cinema-fumetto e alle loro reciproche influenze.
Un’opera che nel suo forte ma mai eccessivo utilizzo delle tecnologie digitali è un ottimo esempio, quasi sperimentale, delle prospettive e delle possibilità del cinema del futuro.
Sin City pertanto è un film caldamente consigliato sia agli amanti del cinema noir che a quelli del cinema tratto da fumetti.

mercoledì 28 novembre 2018

I più bei film noir [2]

Continuiamo la nostra disamina con una pellicola, incentrata oltre che sulle indagini anche sul rapporto che si instaura tra i due protagonisti, che all'uscita al cinema non mi aveva entusiasmato più di tanto.
Solo ad ulteriori visioni mi si è rivelato per il grande film che è.
Un consiglio che mi sento quindi di dare a chiunque voglia immergersi nella visione di quest'opera d'arte è quindi di indugiare un po' non fermandosi alla prima impressione.

Il silenzio degli innocenti



Tratto dal romanzo dello scrittore statunitense Thomas Harris, pubblicato nel 1988, "Il silenzio degli innocenti" è un film molto coinvolgente dal punto di vista della trama e di grande impatto visivo.
La pellicola, girata nel 1991, ha vinto l’Orso d’oro per la regia al Festival di Berlino.
È stato inoltre il primo thriller a vincere quelli che da sempre sono considerati i cinque oscar maggiori: film, regia, sceneggiatura, attore e attrice protagonista.
Questa in breve la trama: l’Fbi non riesce a catturare uno psicopatico, soprannominato Buffalo Bill, che uccide giovani donne e poi le scuoia.
Viene incaricata dell’indagine la giovane Clarice Starling, a cui presta il volto Jodie Foster, recluta fresca d’accademia e ragazza coraggiosa, geniale e tormentata dalla morte del padre poliziotto.
Per risolvere il caso, Clarice chiede aiuto allo psichiatra Hannibal Lecter, interpretato da Anthony Hopkins, un pazzo assassino e psicologo di notevole cultura detenuto, per aver mangiato i suoi pazienti, in una cella di massima sicurezza di un manicomio criminale.
Fra i due personaggi si stabilisce una gara di intelligenza, forza nervosa e oscuri segnali da interpretare.
Clarice, grazie a uno spunto di Lecter, trova la chiave giusta: una certa farfalla, trovata nella gola delle vittime, rappresenterebbe un desiderio transessuale del carnefice.
Grazie a quest’indizio, Buffalo Bill viene trovato proprio mentre sta per uccidere l’ennesima vittima.
Nel frattempo Lecter evade facendo una strage.
Una mattina Clarice riceve la telefonata di Hannibal; l’assassino si complimenta con lei e le annuncia nuove imprese e vendette da cannibale.
Capolavoro di Jonathan Demme, allievo del grande Roger Corman, "Il silenzio degli innocenti" è una delle pietre miliari dei film sui serial killer.
La tensione nel corso della pellicola non cade mai di tono e l’architettura della narrazione, di cui Demme tira le fila con grande capacità registica, lascia lo spettatore sulle spine per tutta la durata della vicenda.
Certe scene poi, come quella dell’uccisione di Buffalo Bill, della maschera da tortura medievale di Hannibal e della gara dialettica fra i due protagonisti sono indimenticabili.
Al di là della storia, inquietante per numerosi particolari feroci e animaleschi, un altro aspetto del film che colpisce è il rapporto fra Jodie Foster e Anthony Hopkins che procede e si sviluppa parallelamente all'indagine.
Lo psichiatra da consulente dietro le sbarre diventa il vero padrone del rapporto, spingendo il personaggio della Foster a confidarsi e a indagare nella sua stessa mente.
Una vera sfida tra due grandi attori, condotta a colpi di sguardi, espressioni ambigue, paure che sanno comunicare addirittura più delle parole, tanto che lo spettatore può in certi momenti sentirsi addirittura lui stesso preda di questo cannibale così abile a giocare con la mente umana.

I più bei film noir [1]

In questo nuovo corso di post affrontarò brevemente l'analisi di alcuni lungometraggi di genere thriller e noir.
Non i film che critica e studiosi ritengono i migliori ma quelli che, nel corso di lunghe serate sul divano davanti al televisore, mi hanno fatto provare sensazioni forti come pianto e riso, riflettere sulla condizione umana, su alcuni episodi della storia sia recente che passata o semplicemente passare in modo piacevole alcune ore.
Comincerò parlando di un lungometraggio del 1970 diretto da Elio Petri ed interpretato da Gian Maria Volontè e Florinda Bolkan.
Vincitorice di numerosi premi come: il Grand Prix Speciale della Giuria al 23° Festival di Cannes e il Premio Oscar nel 1970, quest'opera spicca per la superba interpretazione di Volontè, l'indimenticabile colonna sonora di Ennio Morricone, la scenografia e la fotografia.

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto


"Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" è probabilmente il film più politico del cinema italiano e certamente il più significativo sotto l’aspetto storico e sociale.
Diretto da Elio Petri nel 1970, sceneggiato dallo stesso Petri con Ugo Pirro, accompagnato dalle musiche di Ennio Morricone e uscito nelle sale in quello stesso anno, ha avuto un’accoglienza a dir poco traumatica.
A causa della sua forte componente critica sui metodi adottati in quegli anni dalle forze dell’ordine infatti, la polizia denunciò immediatamente il film al sostituto procuratore della repubblica di Milano Caizzi, il quale però non ritenne opportuno procedere.
Da quel momento l’eco del messaggio politico spinse il film verso il successo.
A Roma, per esempio, furono anticipate le prime proiezioni pomeridiane e prolungate quelle serali.
A conferma della grande presa che il film ha avuto su pubblico e critica poi, bisogna ricordare che "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" ha ottenuto numerosi riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale.
Nel 1970 infatti ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero, il Gran Premio della Giuria a Cannes e a Gian Maria Volonté è andato il David di Donatello come migliore attore.
Nel 1971 invece, Elio Petri, Gian Maria Volonté e Ugo Pirro, rispettivamente regista protagonista e sceneggiatore del film, hanno vinto un Nastro d’argento.
Personaggio principale del film è il capo della squadra omicidi di Roma interpretato dallo straordinario Gian Maria Volonté, che, nel giorno della sua promozione, uccide l’amante, interpretata dall’appassionata, stravagante e sensuale Florinda Bolkan, nel corso di un gioco erotico.
Certo di essere al di sopra di ogni sospetto in virtù della posizione di potere che occupa, Volontè, semina volutamente tracce e indizi a proprio carico.
Come previsto, le indagini intraprese dai colleghi della omicidi non lo toccano, ignorando le sue evidenti provocazioni.
Soltanto Antonio Pace, uno studente fermato per un attentato dinamitardo alla questura, personalmente “interrogato” dall’ispettore, in privato, ha il coraggio di dirgli che lo riconosce come assassino della donna, ma non lo denuncia e viene rilasciato.
In preda a un delirio autopunitivo, l’ispettore consegna ai colleghi della omicidi una lettera di confessione.
Quindi rientra a casa e nella sua fantasia malata immagina le diverse conclusioni della vicenda.
Questo film ha un valore di testimonianza immenso, chiunque può, rivedendolo oggi, farsi un’idea di quello che era il clima di quegli anni, con il Sessantotto ancora caldo e gli anni delle nuove battaglie studentesche e soprattutto quelli del terrorismo ancora da venire.
Immenso Gian Maria Volonté che, nei panni del capo della squadra omicidi, ci ha lasciato una mostruosa interpretazione, sicuramente tra le più sentite, sincere e studiate dell’intera storia del cinema italiano.
È grazie anche ai suoi movimenti, alla sua voce, al modo in cui si rapporta con i suoi sottoposti, ai suoi gesti che il film acquista credibilità e suggerisce il suo messaggio politico senza alcuna ambiguità e con la dovuta convinzione.