lunedì 10 giugno 2019

Il fumetto nero italiano

Personaggi del fumetto nero italiano
Il fumetto nero, è un filone del fumetto popolare che si diffonde in Italia tra gli anni '60 e '70 del 1900.
In un contesto di benessere generale, in cui però sono molto forti le maglie della censura, le opere appartenenti a questo genere, stampate in albi di piccolo formato, hanno per protagonisti inafferrabili criminali che indossano maschere e costumi caratteristici.
Questi antieroi si contrappongono ad una società solo apparentemente perbenista, hanno nomi resi esotici dall'uso di lettere tipicamente straniere come la K, la X o la J, e stravolgono la morale vigente all'epoca fino quasi a ribaltarla.
Questi super malviventi non sono mossi solo dal profitto, ma, cosa che li differenzia dalle loro vittime, hanno nel loro animo sentimenti più profondi e nobili.
Angela e Luciana Giussani
Anche se sono esistiti degli antesignani che non hanno avuto particolare successo (Fantax, ideato nel 1946 dai francesi Pierre Mouchot e Marcel Navarro; Furio Almirante, creato da Carlo Cossio nel 1940 e ripreso da Gian Luigi Bonelli, che lo ribattezza Furio Mascherato; Il Fantasma Verde e Maskar disegnati da Gallieno Ferri) l'iniziatore di questa corrente è considerato Diabolik.
Ideato da Angela e Luciana Giussani e pubblicato dalla casa editrice Astorina, esordisce nel novembre 1962.
Il personaggio riscuote subito un enorme successo, rendendo ben presto l'omonimo protagonista uno dei volti più riconoscibili del fumetto italiano.
Narra la leggenda che l'intuizione per la creazione del personaggio sia venuta ad Angela mentre fumava una sigaretta affacciata alla finestra di casa: una lettura per adulti adatta ai numerosi pendolari dalla sottostante stazione di Milano Cadorna da leggere durante il viaggio in treno e comoda da riporre in tasca.
Le idee le si chiariscono ulteriormente quando trova in metropolitana una copia abbandonata di un romanzo di Fantômas, spietato criminale le cui gesta sono narrate da Marcel Allain e Pierre Souvestre, da cui trae ispirazione per le caratteristiche del serial.
Il resto è storia.
Diabolik n°1
Diabolik, accompagnato nelle sue imprese da una bellissima Eva Kant, è uno scafato ladro dalla calzamaglia aderente che lascia intravedere solo gli occhi
I due vengono contrastati da Ginko, un ispettore di polizia intelligente determinato e integerrimo, che tenta invano di arrestarli.
Con le sue trame nere, le ambientazioni cittadine e i numerosi comprimari, Il Re del Terrore ha ispirato pellicole cinematografiche e spassose parodie a fumetti ed è stato il primo di numerosi antieroi che hanno dato notorietà al genere.
Tra i molti epigoni vanno menzionati Kriminal, un fuorilegge che veste una calzamaglia da scheletro con un teschio come maschera, e Satanik.
Creati nel 1964 da Max Bunker e disegnati da Roberto Raviola, in arte Magnus, le loro serie sono caratterizzate da tematiche horror e un alone di erotismo.
Si ricordano anche Demoniak e Fantax, ideati da Furio Arrasich nel 1965, Zakimort, una Diabolik in gonnella, l'agente SS 018, ancora opera di Bunker e Magnus, ispirata al James Bond di Ian Fleming e numerose testate che in alcuni casi erano veri e propri plagi dei serial più famosi.
Tra le tante, ne vorrei ricordare due, particolari perché realizzate con la tecnica del fotoromanzo: Killing ispirata a Kriminal e Genius che si rifà a Diabolik.
Il successo di questo fenomeno attira l'attenzione di giudici e tribunali che, temendo che queste pubblicazioni potessero «turbare l’ordine pubblico, l’ordine della famiglia e incitare alla criminalità e al delitto», istituiscono processi e ordinano sequestri.
Alle vicende giudiziarie si aggiunge ben presto il peso dei giudizi dell'opinione pubblica e e dei benpensanti che fa si che gli autori edulcorino e ammorbidiscano i toni delle storie rendendole meno sanguinarie e facendo perder loro molta della carica innovativa che le aveva caratterizzate nella fase iniziale.
A causa di questi fattori, di questa moltitudine di personaggi che sono stati la bandiera di una tendenza che, seppure poco duratura, ha fatto scuola, solo Diabolik, Kriminal e Satanik sono stati pubblicati a lungo.



lunedì 15 aprile 2019

Segreti di stato


Segreti di stato film del regista pisano Paolo Benvenuti.
In questo film, che s’inquadra nel suo ideale di cinema sobrio e rigoroso e di evidente filiazione rosselliniana, Benvenuti rilegge una pagina cupa della storia repubblicana, il processo a Salvatore Giuliano, alla luce delle suggestioni del sociologo Danilo Dolci, con l’ausilio degli atti della commissione antimafia e di documenti statunitensi.
L’ipotesi che l’eccidio sia stato perpetrato dai servizi segreti Usa e da elementi della mafia non è nuova, ma viene esposta con una chiarezza didattica notevole, lontana dalle ricostruzioni del teatro - inchiesta come dalle facili spettacolarizzazioni: tuttavia, la mancanza di una qualsivoglia elaborazione drammaturgica della materia fa di Segreti di stato un’opera narrativamente inerte, più utile che ispirata.
Viterbo, 1951: mentre si sta tenendo il processo per la strage di Portella della Ginestra, che vede sul banco degli imputati i membri della banda Giuliano, l’avvocato di Gaspare Pisciotta decide di seguire in segreto delle piste divergenti da quelle ufficiali.
Partendo da un semplice dettaglio, il differente calibro delle pallottole estratte dai corpi delle vittime e dei feriti, egli inizia un tragitto d’indagine che lo porta dapprima in Sicilia, sui luoghi del massacro, sino a una inquietante ricostruzione delle vicende d’Italia fatta dal Professore....
Segreti di stato, che riapre in qualche modo il processo ai responsabili della strage di Portella della Ginestra, è stato un'opera molto discussa.
Secondo il regista pisano, questo processo è stato l’inizio di una lunga strategia della tensione, attuata dai governi democristiani in collaborazione con i servizi segreti americani, col fine di indebolire il movimento comunista in Italia.
Una vicenda archiviata in maniera oscura, con l’omicidio del super-testimone Pisciotta e la collusione di politici italiani con uomini di mafia, della Chiesa e di Washington.
L’accusa è durissima: la storia repubblicana italiana del dopo-guerra, sarebbe nata da una menzogna e un occultamento di prove.
Segreti di stato è un lungometraggio chiaramente sui generis nel nostro panorama, in cui il centro dell’azione è l’indagine dell'avvocato Crisafulli, Antonio Catania, che tra carceri, archivi e ricognizioni sul luogo del delitto, ricostruirà la trama politica che portò all’eccidio, poi attribuito a Giuliano e i suoi compagni.
L’azione è lineare, chiara, al limite del didascalico e certe volte persino oltre, quando per esempio è riordinato l’organigramma dei responsabili della strategia della tensione anti-comunista.
Benvenuti ha fatto un film che doveva ricordare o addirittura spiegare agli italiani cosa fu Portella della Ginestra e lo ha fatto con chiarezza estrema, pur motivando le scelte storiche.
Esasperando la linearità della ricostruzione dei fatti, egli sceglie però di non venire a patti con il suo stile, organizzando un numero limitato di location su cui però lavora con precisione e cura da pittore.
L’impianto resta vagamente teatrale, come in Gostanza da Libbiano dove addirittura la macchina da presa non metteva piede fuori dalla chiesa in cui si svolgeva il processo, ma ciò che l’opera soffre in staticità guadagna ampiamente in cura dell’immagine, retaggio evidentemente del background pittorico del regista.
La debolezza del film sta, nel ricorso eccessivo a una documentazione minuziosa, che giustifica in parte la gravità delle tesi sostenute, ma ingabbia la pellicola in uno schema di dimostrazione storica che gli 86 minuti non bastano certo a sviscerare.
Più che la verosimiglianza dei fatti, la mole di dimostrazioni finisce per penalizzare proprio l'efficacia dell'intreccio, e ciò nonostante l'originale ricorso a dei fumetti-storyboard che ricostruiscono gli episodi chiave che portarono alla strage.
Segreti di stato, potrebbe definirsi un grande giallo storico, un film corale come mai nessun lavoro di Benvenuti è stato fino ad ora, un film che, per la prima volta nel cinema di quest’autore, narra una vicenda molto vicina ai giorni nostri e la narra non più a un pubblico particolare, ma a tutti gli italiani, sempre restando fermo il presupposto ideale di potersi rivolgere solo ad un pubblico intelligente e curioso.
Eppure dopo un’ ora e mezza scarsa di buon cinema, questa vicenda del nostro passato, raccontata così semplicemente, è apparsa forse un po’ troppo semplice.
La sensazione, è quella di avere visto un film rigorosamente ricostruito, nobile negli intenti sì, e curato anche nelle immagini, ma un po’ debole nella sceneggiatura, quasi didattico, un po’ troppo basso nei toni.
Rispetto ai film precedenti di Benvenuti, manca quella rabbia costruttiva che rendeva appassionante anche una vicenda raccontata in toscano cinquecentesco; manca la forza di un’indignazione che si è misteriosamente spenta per motivi che non credo siano legati all’età o a una improvvisa maturità intellettuale.
Forse si tratta solo di trovare un nuovo equilibrio, una potenzialità espressiva nuova perchè pensata da due volontà diverse e ugualmente forti, uno stile narrativo altro che deve essere necessariamente cercato se Paola Baroni, in Segreti di Stato co-sceneggiatrice e aiuto regista, continuerà a lavorare a fianco del marito.
Segreti di stato è stato letteralmente preso d’assalto dal pubblico della Mostra di Venezia, costringendo gli organizzatori a programmare proiezioni supplementari per chi era rimasto fuori.
A proposito del film Benvenuti ha affermato che si è limitato a porre delle domande e segnalare delle coincidenze, ma il polverone che ha scatenato dimostra che Segreti di stato non è un film che possa passare inosservato.
I nomi sono fatti con audacia quasi eccessiva, e arrivano fino ad Andreotti e Papa Pacelli.
Troppo clamore mediatico e un’ambizione di verità che mira così in alto finiranno certamente per penalizzare il film.

sabato 5 gennaio 2019

Consigli di lettura [1]

Alcune considerazioni su un ottimo romanzo giallo, frutto di un lavoro di scrittura e di studio eccellenti, la cui lettura soddisferà in ugual misura sia gli appassionati di storia che i fans di letteratura poliziesca.

La misura dell'uomo

Autore: Marco Malvaldi
Editore: Giunti Editore
Data di uscita: Novembre 2018
N° Pagine: 300
Prezzo: € 18,50

Pubblicato nella collana Scrittori Giunti, edita da Giunti Editore, “La misura dell'uomo” è un romanzo di Marco Malvaldi che, abbandonati gli anziani frequentatori del Bar Lume, si cimenta con il thriller storico.
Il lettore viene catapultato nel 1493, un periodo complesso per la storia d'Italia.
In seguito alla morte di Lorenzo dei Medici, avvenuta un anno prima, e la conseguente fine della pace infatti, il re francese Carlo VIII pianifica di scendere in Italia, superando le Alpi, per sottrarre agli Aragonesi il Regno di Napoli.
Reggente di Milano, facente le veci del piccolo e malaticcio nipote, Ludovico Sforza duca di Bari, detto il Moro, uomo dalle molte amanti tra cui bella Cecilia Gallerani, la celeberrima dama con l’ermellino, viene pressato dalla moglie, Beatrice d’Este, figlia di Ercole I duca di Ferrara, che gli impone l’alleanza con suo padre, oltre a quella con Venezia.
Sullo sfondo di queste vicende particolarmente intricate, nella finzione romanzesca, i due eroi principali del libro: Leonardo Da Vinci, reduce dal suo soggiorno fiorentino e ormai abitante fisso nella capitale lombarda, e Ludovico il Moro, sono chiamati a far fronte ad un omicidio.
Un cadavere, che in seguito si scoprirà essere Rambaldo Chiti, ex allievo di Leonardo allontanato dalla sua bottega perché sospettato di essere un falsario, viene trovato nel centro del cortile del castello sforzesco dove doveva essere posizionata una scultura equestre in bronzo di Francesco Sforza, padre di Lodovico, opera che non fu mai realizzata.
Da questo episodio parte un' indagine, che coinvolge religiosi, politici, ambasciatori, emissari del re di Francia e persone vicine ai due protagonisti, portata a termine con arguzia e metodo dall'inventore, artista e scienziato toscano che si rivela in questa circostanza, oltre che un uomo dai molteplici interessi anche un ottimo detective.
Vengono così allo scoperto eventi che avrebbero potuto mettere in ginocchio il ducato di Milano.
Il volume, ricco di accadimenti e scritto da Malvaldi con lo stile leggero e ricco di ironia che ha contraddistinto i suoi lavori precedenti, si caratterizza per una ricerca storica minuziosa, precisa e dettagliata.
I numerosi interpreti delle vicende narrate sono molto ben connotati sia fisicamente che psicologicamente con i loro tic, le loro manie e le curiosità che li riguardano che la storia ci ha tramandato.
Tra questi spicca la figura di Leonardo che, mostratoci nel suo vivere e agire quotidiano, rende la trama molto originale e divertente.
Il metodo d'indagine e le motivazioni che hanno portato all'omicidio, anche se solo accennate nel finale del libro poi, sono molto convincenti e in linea con il periodo in cui sono ambientati i fatti.
Alla luce di quanto scritto possiamo quindi affermare che “La misura dell'uomo” sia un'ottima opera, frutto di un lavoro di scrittura e di studio eccellenti, la cui lettura soddisferà in ugual misura sia gli appassionati di storia che i fans di letteratura poliziesca.