lunedì 15 aprile 2019

Segreti di stato


Segreti di stato film del regista pisano Paolo Benvenuti.
In questo film, che s’inquadra nel suo ideale di cinema sobrio e rigoroso e di evidente filiazione rosselliniana, Benvenuti rilegge una pagina cupa della storia repubblicana, il processo a Salvatore Giuliano, alla luce delle suggestioni del sociologo Danilo Dolci, con l’ausilio degli atti della commissione antimafia e di documenti statunitensi.
L’ipotesi che l’eccidio sia stato perpetrato dai servizi segreti Usa e da elementi della mafia non è nuova, ma viene esposta con una chiarezza didattica notevole, lontana dalle ricostruzioni del teatro - inchiesta come dalle facili spettacolarizzazioni: tuttavia, la mancanza di una qualsivoglia elaborazione drammaturgica della materia fa di Segreti di stato un’opera narrativamente inerte, più utile che ispirata.
Viterbo, 1951: mentre si sta tenendo il processo per la strage di Portella della Ginestra, che vede sul banco degli imputati i membri della banda Giuliano, l’avvocato di Gaspare Pisciotta decide di seguire in segreto delle piste divergenti da quelle ufficiali.
Partendo da un semplice dettaglio, il differente calibro delle pallottole estratte dai corpi delle vittime e dei feriti, egli inizia un tragitto d’indagine che lo porta dapprima in Sicilia, sui luoghi del massacro, sino a una inquietante ricostruzione delle vicende d’Italia fatta dal Professore....
Segreti di stato, che riapre in qualche modo il processo ai responsabili della strage di Portella della Ginestra, è stato un'opera molto discussa.
Secondo il regista pisano, questo processo è stato l’inizio di una lunga strategia della tensione, attuata dai governi democristiani in collaborazione con i servizi segreti americani, col fine di indebolire il movimento comunista in Italia.
Una vicenda archiviata in maniera oscura, con l’omicidio del super-testimone Pisciotta e la collusione di politici italiani con uomini di mafia, della Chiesa e di Washington.
L’accusa è durissima: la storia repubblicana italiana del dopo-guerra, sarebbe nata da una menzogna e un occultamento di prove.
Segreti di stato è un lungometraggio chiaramente sui generis nel nostro panorama, in cui il centro dell’azione è l’indagine dell'avvocato Crisafulli, Antonio Catania, che tra carceri, archivi e ricognizioni sul luogo del delitto, ricostruirà la trama politica che portò all’eccidio, poi attribuito a Giuliano e i suoi compagni.
L’azione è lineare, chiara, al limite del didascalico e certe volte persino oltre, quando per esempio è riordinato l’organigramma dei responsabili della strategia della tensione anti-comunista.
Benvenuti ha fatto un film che doveva ricordare o addirittura spiegare agli italiani cosa fu Portella della Ginestra e lo ha fatto con chiarezza estrema, pur motivando le scelte storiche.
Esasperando la linearità della ricostruzione dei fatti, egli sceglie però di non venire a patti con il suo stile, organizzando un numero limitato di location su cui però lavora con precisione e cura da pittore.
L’impianto resta vagamente teatrale, come in Gostanza da Libbiano dove addirittura la macchina da presa non metteva piede fuori dalla chiesa in cui si svolgeva il processo, ma ciò che l’opera soffre in staticità guadagna ampiamente in cura dell’immagine, retaggio evidentemente del background pittorico del regista.
La debolezza del film sta, nel ricorso eccessivo a una documentazione minuziosa, che giustifica in parte la gravità delle tesi sostenute, ma ingabbia la pellicola in uno schema di dimostrazione storica che gli 86 minuti non bastano certo a sviscerare.
Più che la verosimiglianza dei fatti, la mole di dimostrazioni finisce per penalizzare proprio l'efficacia dell'intreccio, e ciò nonostante l'originale ricorso a dei fumetti-storyboard che ricostruiscono gli episodi chiave che portarono alla strage.
Segreti di stato, potrebbe definirsi un grande giallo storico, un film corale come mai nessun lavoro di Benvenuti è stato fino ad ora, un film che, per la prima volta nel cinema di quest’autore, narra una vicenda molto vicina ai giorni nostri e la narra non più a un pubblico particolare, ma a tutti gli italiani, sempre restando fermo il presupposto ideale di potersi rivolgere solo ad un pubblico intelligente e curioso.
Eppure dopo un’ ora e mezza scarsa di buon cinema, questa vicenda del nostro passato, raccontata così semplicemente, è apparsa forse un po’ troppo semplice.
La sensazione, è quella di avere visto un film rigorosamente ricostruito, nobile negli intenti sì, e curato anche nelle immagini, ma un po’ debole nella sceneggiatura, quasi didattico, un po’ troppo basso nei toni.
Rispetto ai film precedenti di Benvenuti, manca quella rabbia costruttiva che rendeva appassionante anche una vicenda raccontata in toscano cinquecentesco; manca la forza di un’indignazione che si è misteriosamente spenta per motivi che non credo siano legati all’età o a una improvvisa maturità intellettuale.
Forse si tratta solo di trovare un nuovo equilibrio, una potenzialità espressiva nuova perchè pensata da due volontà diverse e ugualmente forti, uno stile narrativo altro che deve essere necessariamente cercato se Paola Baroni, in Segreti di Stato co-sceneggiatrice e aiuto regista, continuerà a lavorare a fianco del marito.
Segreti di stato è stato letteralmente preso d’assalto dal pubblico della Mostra di Venezia, costringendo gli organizzatori a programmare proiezioni supplementari per chi era rimasto fuori.
A proposito del film Benvenuti ha affermato che si è limitato a porre delle domande e segnalare delle coincidenze, ma il polverone che ha scatenato dimostra che Segreti di stato non è un film che possa passare inosservato.
I nomi sono fatti con audacia quasi eccessiva, e arrivano fino ad Andreotti e Papa Pacelli.
Troppo clamore mediatico e un’ambizione di verità che mira così in alto finiranno certamente per penalizzare il film.